Le prospettive di lavoro sono ottime, ma ci vuole la competenza per gestire la relazione di aiuto e la presa in carico della persona assistita. Gli infermieri – riuniti nell’Opi, l’ordine delle professioni infermieristiche che riunisce l’albo degli infermieri e degli infermieri pediatrici, aderente al Comitato Unitario delle professioni dell’Emilia-Romagna e guidato a Bologna da Pietro Giurdanella – sono stati “disciplinati” dalla legge 3/2018 che ha riformato le professioni sanitarie; prima c’era il Collegio degli infermieri, essendo una professione a cui si accedeva all’epoca della disciplina originaria con diploma, laddove ora serve una laurea.
A Bologna gli infermieri sono circa 8mila e salgono a 32mila in Regione. Il 90% lavora nel pubblico o comunque nell’ospedalità. I liberi professionisti restano una quota minoritaria, spesso sono associati sotto forma di Studio o di Cooperativa in abito infermieristico; una forma di attività che, tuttavia, appare attualmente in moderato sviluppo. Quasi l’80% degli infermieri sono donne e la componente maschile sta acquistando spazio molto lentamente; del resto fino a inizio anni ’70 solo le donne potevano svolgere la professione e gli uomini sono entrati con molta gradualità. Per quel che riguarda la numerosità, la presenza di infermieri è certamente sottodimensionata: recenti studi confermano che all’interno del SSN mancano oltre 50mila infermieri rispetto al fabbisogno, con sostanziali differenze tra le regioni. “L’attività dell’infermiere – spiega Pietro Giurdanella – si svolge prevalentemente in ogni tipo di struttura sanitaria e sociosanitaria, pubblica o privata, assistenza domiciliare, ambulatori, residenze per anziani e disabili. L’obiettivo però ora resta quello di mantenere l’anziano a casa ma con una adeguata rete di assistenza territoriale. E, in questo contesto, l’infermiere può realmente prendere in carico la persona assistita e la sua famiglia, da un punto di vista tecnico (prestazioni sanitarie), educativo (educazione alla salute) e relazionale (relazione di cura). Si stima oggi che il 50% delle famiglie sono mononucleari e la gran parte sono composte da anziani che vanno anche presi in carico; in questo senso l’ospedale non può essere l’unica risposta assistenziale all’aumentare dei bisogni di salute dei cittadini”. In una società in cui gli over 65enni raddoppieranno in vent’anni a giocare un ruolo essenziale saranno gli infermieri in una logica multidisciplinare (medici di medicina generale, fisioterapisti, assistenti sociali, ecc.). Per quel che riguarda l’occupazione, dopo la parentesi del governo Monti (2011) che fissò l’obbligo di una sola assunzione ogni 4 uscite, la Regione Emilia Romagna negli ultimi due anni è intervenuta assumendo una quota consistente di infermieri per colmare le tante carenze accumulate. In provincia di Bologna, ad esempio, si è svolto un concorso pubblico al quale parteciparono oltre 13mila candidati. Poi i concorsi sono ripartiti in diverse regioni italiane. Ma tra breve mancheranno infermieri. “Infatti – spiega Giurdanella – su 100 giovani che iniziano il percorso di studi, più del 60% non termina il corso; il motivo più evidente è la discrasia tra immaginario e reale, dove l’impatto umano è molto forte. Si tratta di una professione impegnativa sotto il profilo psicologico e umano e richiede una forte determinazione”. Attualmente si assiste anche a diversi laureati in altre discipline (lettere o giurisprudenza ad esempio) che scelgono di laurearsi in infermieristica. La laurea è triennale con acceso con diploma ma c’è anche la magistrale di altri 2 anni che ha taglio manageriale. “Stiamo chiedendo – conclude Giurdanella – di trasformare al laurea magistrale in un profilo clinico e professionalizzante con le diverse specializzazioni possibili”.